Maksim Gorkij, pseudonimo di Aleksej Maksimovic Peškov, è stato uno scrittore e autore teatrale russo. Nato a Nižnij Novgorod nel 1868 in una famiglia povera, rimane orfano all’età di dieci anni. Autodidatta, gira per anni la Russia e svolge una serie di lavori (ciabattino, disegnatore, aiuto cuoco, venditore di icone, panettiere) che saranno successivamente fonte di ispirazione per i suoi primi scritti, incentrati sulle figure dei "bosjaki", i vagabondi russi. Dopo un periodo di propaganda e celebrazione del comunismo, Gorkij raggiunge il successo nel 1898, quando pubblica la raccolta in due volumi delle sue novelle. Nel 1905, coinvolto nei moti rivoluzionari, viene arrestato e rinchiuso nella fortezza di Pietro e Paolo a Pietroburgo. È in questo periodo di vicinanza agli ambienti rivoluzionari che i suoi scritti assumono un risvolto marcatamente sociale, come nei drammi Piccolo-borghesi (1901) e Bassifondi (1902) e come nel racconto La madre (1906). A questa data si fa risalire l’avvio del cosiddetto “realismo socialista”, di cui Gorkji viene considerato l’iniziatore. L’anno successivo, dopo il rilascio, si trasferisce a Capri, dove organizza una scuola di propaganda. Rientra a Mosca nel 1913, dopo la vittoria bolscevica, e fonda la casa editrice "Vsemirnaja literatura" ("Letteratura universale"). Gravemente malato di tubercolosi, dal 1924 al 1927 ritorna in Italia nella speranza di alleviare il suo male, ma senza successo. Nel 1931 fa definitivamente ritorno in Russia, dove si dedica all'educazione dei nuovi scrittori e alla celebrazione del comunismo. In questi ultimi anni si sviluppa la sua ultima fase produttiva, scevra dai toni retorici e più orientata all’introspezione, come nel trittico autobiografico composto da Infanzia, Tra gente estranea e Le mie università, o come in L'affare degli Artamonov e in La vita di Klim Samgin. Muore il 18 giugno 1936 per cause sconosciute.